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Normativa per ascensori esterni per disabili: quello che dovresti sapere

I temi della mobilità e accessibilità in condominio sono da sempre molto delicati, in quanto molto spesso vanno ad intersecarsi con le problematiche legate alla disabilità e all’invecchiamento della popolazione, coi problemi di deambulazione che possono sorgerne in conseguenza.

Tra i tanti problemi che possono venirsi a verificare c’è anche quello relativo all’impossibilità di dare vita ad ascensori in grado di rendere possibile il trasporto di persone afflitte da disabilità all’interno del condominio. Una impossibilità che le famiglie interessate possono però superare con gli impianti esterni. Anche in questo caso, però, si possono creare frizioni non solo con il condominio, ma anche con le strutture residenziali poste nelle vicinanze, che possono sfociare in contenziosi giuridici.

Basta la maggioranza semplice

Il primo problema che si potrebbe porre in relazione alla costruzione di ascensori esterni per disabili è quello relativo alla decisione dell’assemblea di condominio. A tal proposito va ricordato come proprio al fine di rendere più agevole la costruzione di un impianto di ascensore nell’edifico nel quale risiedono portatori di handicap sia stato previsto, mediante l’articolo 78 del DPR 380 risalente al 2001, che l’assemblea possa deciderne la realizzazione con una maggioranza semplice, e quindi, in prima convocazione, con la maggioranza degli intervenuti, rappresentanti i 501 millesimi dell’edificio e, in seconda convocazione, mediante una maggioranza tale da arrivare almeno ad un terzo dei partecipanti al condominio e ad un terzo del valore millesimale dell’edificio interessato.

Il problema delle distanze minime tra le costruzioni

Ascensori esterni disabiliNon è raro il caso di volumi esterni in acciaio e vetro negli edifici storici o nelle villette multipiano, tesi appunto a superare il problema posto dalle carenze progettuali preliminari derivanti dal fatto che tali strutture siano state costruite in epoche storiche in cui la tematica relativa all’abbattimento delle barriere architettoniche non si poneva o non raggiungeva l’attenzione odierna.

Questi volumi, però, vanno a porre una serie di quesiti di non poco conto, tra i quali il più rilevante è sicuramente quello costituito dalla distanza minima la quale deve intercorrere tra le costruzioni. Un tema regolato dal Codice Civile, che però di volta in volta viene rimesso in discussione, soprattutto quando la materia va a mixarsi con le complesse problematiche poste dalle specifiche esigenze dei portatori di handicap.

In tal senso, va precisato come la normativa di riferimento sia la legge 13 emessa il 9 gennaio del 1989 che, all’articolo 3, comma 1, afferma come le opere aventi ad oggetto innovazioni da attuare negli edifici privati volte ad eliminare le barriere architettoniche possano essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi. Il secondo comma, però, recita a sua volta: “…salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune.”

L’articolo 873 afferma appunto che tale distanza non possa essere inferiore a tre metri, che possono diventare anche di più ove stabilito da regolamenti locali. Il 907 ribadisce a sua volta questa distanza minima. Sembrerebbe perciò tutto molto chiaro, ma non è così.

La sentenza del Consiglio di Stato

A rimescolare le carte concorre in particolare la sentenza numero 6253, emessa dal Consiglio di Stato in data 5 dicembre 2012, la quale afferma come la realizzazione di un ascensore esterno non vada a rientrare nel concetto di costruzione di cui all’articolo 873 del Codice Civile che abbiamo già citato. In conseguenza di ciò non possono essere applicabili ad esso le disposizioni in tema di distanze tra gli immobili.

A motivare questa importante sentenza del Consiglio di Stato, la quale era stata sollecitata da alcuni condomini portatori di handicap che si erano visti bocciare dal Comune la domanda di costruire un impianto esterno all’edificio in cui vivono, è stata in particolare la constatazione che l’ascensore va a rientrare tra i cosiddetti volumi tecnici, come succede  nel caso degli impianti che servono le condotte idriche e termiche, o in quello relativo agli impianti strumentali alle esigenze tecnico-funzionali dell’immobile, per i quali non devono essere applicate, appunto, le disposizioni in materia di distanze tra le costruzioni.

La sentenza del TAR ligure

A rafforzare quanto deciso dal Consiglio di Stato, è poi arrivato un pronunciamento del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, stavolta più recente, in quanto risalente al 29 gennaio 2016. In questo caso il giudice amministrativo ha voluto precisare come la realizzazione di un impianto ascensore all’esterno del fabbricato non necessiti dell’acquisizione del preliminare permesso a costruire, in quanto non deve essere considerato come una costruzione, bensì alla stregua di un volume tecnico necessario per apportare un’innovazione allo stabile. Inoltre si precisa come la realizzazione dell’ascensore all’esterno sia motivabile in ogni occasione in cui venga a sussistere l’impossibilità di installarlo all’interno dell’edificio, a causa della particolare conformazione della tromba delle scale o degli altri ambienti.